Hassan Aourid - Confessioni di un califfo - recensione a cura di Giulia De Martino

Hassan Aourid

Confessioni di un califfo

Astarte,2023

traduzione di Alessandra Azzarelli

 

Scritto nel 2017, tradotto in italiano nel 2023, questo testo dello scrittore marocchino ha cominciato a circolare timidamente nel 2024, grazie ad una serie di incontri avvenuti, soprattutto in ambienti universitari, tra l'autore e il pubblico. In effetti, per comprenderne a pieno la portata e il significato non bisogna essere digiuni della storia di Al-Andalus, la Spagna musulmana, soprattutto dei secoli d'oro della dinastia omayyade, in particolare il secolo X, durante i regni dei califfi 'Abd ar Rahman III e al -Hakam II. Ci permettiamo di suggerire la lettura in contemporanea di un libro dello spagnolo Antonio Munoz Molina La città dei califfi, dedicato alle architetture e ai tesori artistici di Cordova, edito da Feltrinelli nel 1996, che accenna anche ai disordini e agli intrighi di palazzo. Può essere di aiuto per orizzontarsi in ciò che nel romanzo è dato per scontato. Il testo mette in primo piano il ruolo svolto dai berberi di quella terra che oggi noi identifichiamo come Nordafrica insieme alle popolazioni che si erano mescolate coi romani e coi vandali d'Africa.

Il libro di Aourid è un romanzo che si serve di una lunga confessione del califfo Hakam II, ormai vecchio e in procinto di morire, per presentare alcuni temi che gli stanno particolarmente a cuore. Uno è una pregevole riflessione su che cosa sia il potere in generale e, in particolare, il potere in una dinastia che non è mai riuscita a superare i concetti di clan, i legami di sangue dettati da antenati comuni, la asabiyya, pur essendosi allargata ad una tolleranza verso altre popolazioni come i berberi islamizzati, i visigoti, i bizantini, gli ebrei.

Con questa eredità culturale, gli arabi ispanici soggiogano i nemici ma poi non riescono a stabilire poteri duraturi. Ha influito anche una certa sordità verso le richieste di equità sociale e fiscale, presentate dai membri di quelle popolazioni che, nonostante a volte rivestano alti e prestigiosi incarichi, restano pur sempre in ruoli subalterni. Sempre all'orizzonte la lotta contro le radicalizzazioni religiose, incarnate in alcuni gruppi berberi e nelle dinastie che si succedono in Persia, in Egitto, in Tunisia, come gli Abassidi e i Fatimidi sciiti. Abituati alle informazioni di parte occidentale sulla reconquista cristiana del territorio ispanico ci è sempre sembrato che tutto si riducesse alla dualità islam-cristianesimo, ma non fu così in realtà. Regni cristiani si alleavano con quelli musulmani per scalzare i propri nemici e viceversa; alleanze si facevano e disfacevano a seconda delle convenienze, non erano infrequenti i matrimoni tra le figlie di dinastie cristiane con sovrani o dignitari dei numerosi staterelli islamici sempre in rivolta. Non una irriducibilità culturale tra i due gruppi, ma un alternanza di periodi di guerra e periodi di pace per questioni soprattutto territoriali.

In un passaggio dettato allo schiavo Ziri, incaricato di raccogliere per scritto le riflessioni sulla sua vita, il califfo protagonista spiega come le masse si rivoltano perché stanche dei pregiudizi e oppresse dalle ingiustizie sociali; le élite invece insorgono per perseguire gloria e fama e per salvaguardare tutto ciò che minaccia i loro interessi. Hakam II ci tiene a distinguere il ruolo politico del califfo da quello dell'uomo: il primo commette azioni ritenute riprovevoli agli occhi di quello stesso uomo diventato califfo. Quel ruolo politico che agisce per la gloria dell'islam, della dinastia e di tutto ciò che è stato conquistato, diventa una prigione mentale per l'uomo che lo incarna, impossibilitato a sottrarsi alle nefandezze e alla violenza, pena la scomparsa del regno stesso. Potere contro umanità è il dilemma in cui si dibatte Hakam II, che cerca una sorta di assoluzione dalla Storia...

Per questo motivo presenta eventi della sua vita che, secondo lui, segnano la perdita della sua innocenza: l'uccisione della sorellina Zeynab, in una rivolta di palazzo, l'amore per Hind, che viene data in sposa a suo fratello, strappandola ad un amore segreto di cui si saprà nel corso della vicenda, l'uccisione di un fratello rivoltoso e il padre che decapita con le proprie mani i fautori della rivolta. Costretto come principe ereditario dal padre Rahaman III a vestire i panni del futuro califfo, abbandona da quel momento ogni principio di umanità.

Impiega molte parole per descrivere i valori politici dei rituali (feste teatrali grandiose, ospitalità eccezionali per gli stranieri e i diplomatici, cerimonie pubbliche religiose, anche ostentate eliminazioni di massa di oppositori) che nascondono gli intimi pensieri e i sentimenti dell'uomo Hakam. Gli amici e i sodali con cui aveva condiviso l'infanzia e l'adolescenza vengono sostituiti con figure squallide ancorché fidate, perché interessate a mantenere il livello sociale raggiunto, con il permesso del potere costituito. Ed è così che i rapporti umani di Hakam II si riducono all'invidia da tenere a bada, alla violenza da opporre quando le regole non vengono seguite, alla paura di non essere all'altezza degli avi come il principe fuggitivo omayyade, Abd al Rahaman l'Immigrato, che scappa da Damasco ormai nelle mani degli Abassidi, traversando Medio oriente e Africa del nord per acquisire alleanze; o come il padre Rahaman III an Nasir, grande costruttore della Madinat al Zahra, che amplia ulteriormente la grande Moschea, rimette in piede ponti e riattiva una vivace economia.

Ma un altro tema interessa l'autore: la grande tolleranza religiosa che esprime il secolo X riempiendo la città di Cordova di sapienti, scienziati ed intellettuali provenienti dal mondo islamico, ebraico e cristiano. In questo senso Hakam II vi ha contribuito in modo assoluto attraverso la costruzione della grande Biblioteca e la raccolta di migliaia di testi di scienze naturali, chimica, medicina, geografia, astronomia, filosofia letteratura, soprattutto poesia, musica, oltre che manoscritti di esegesi religiosa, scovati da intellettuali sguinzagliati ai quattro angoli del mondo conosciuto. Ed è così che Inizia quel lavoro di traduzione di antichi testi greci, latini ed ebraici che culminerà nella grande scuola di Toledo, anticipando di qualche secolo il furore che colse l'Europa nel XIV e XV secolo nelle ricerca dei testi antichi.

Hakam è il signore dei libri ed è il più colto dei sovrani omayyadi. Arrivato al califfato a 46 anni segna un periodo di relativa pace e prosperità, aprendo persino l'alcazar ai poveri, cui vengono distribuite farmaci e cure mediche. Negli ultimi giorni della sua vita si affanna a riconquistare l'umanità perduta, ripudiando gli strumenti di cui era stato costretto a servirsi, fidando nella misericordia di Allah, che legge la verità nel cuore degli uomini.

Si comprende come il fascino del romanzo non sia solo nelle oscure trame di palazzo, nelle feste sontuose, nella storie d'amore e di sesso, ma nel monito che il padre rivolge al figlio quando gli rivela che la fede è una questione personale e che le persone vanno giudicate in base a ciò che fanno e non in base a ciò in cui credono o in cui confidano. Perché la verità è troppo grande per essere confinata in una sola religione o l'etica è troppo elevata per essere limitata ad una ristretta cerchia di persone. Ed è anche il monito dello scrittore marocchino, che riunisce in se stesso il concetto di melting pot linguistico-culturale: dalla famiglia berbera ha appreso la lingua materna, l'amazigh, dalla gente del suo paese l'arabo colloquiale, lingua pressoché nazionale, a scuola l'arabo standard e il francese, in cui scrive e insegna.

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