Hisham Matar - Amici di una vita - recensione a cura di Giulia De Martino

Hisham Matar

Amici di una vita

Einaudi, 2024

traduzione di Anna Nadotti

 

Molti dei libri precedenti dello scrittore anglo-libico parlano della Libia, della dittatura di Gheddafi, partendo da un punto di vista personale: la fuga della famiglia dalla Libia e il vagabondare in diversi stati, dopo la misteriosa scomparsa del padre Jaballah, energico oppositore del regime. Qui, invece, il centro del testo è nella vita londinese di Khaled, un professore di letteratura in una scuola superiore sempre in bilico tra la nostalgia del paese d'origine e della famiglia e le difficoltà di riconoscersi in una nuova appartenenza.

Le scene iniziali si svolgono nel 2016, quando un vecchio amico del protagonista, Hosam Zowa, ritornato in Libia all'atto della primavera araba, lo chiama per avvertirlo che passerà per Londra prima di partire per gli Stati Uniti, dove si è deciso a raggiungere moglie e figlia già insediatesi in California. L'incontro ha qualcosa di stonato: nessuno dei due sembra parlare veramente all'altro, si tuffano nei ricordi di vita in comune a partire dal '95, condivisa anche con l'amico fraterno Mustafa, anch'egli partito per la Libia e non intenzionato ad allontanarsene. Entrambi avevano partecipato all'illusione che tutto potesse cambiare, entrando anche nella lotta armata. Però in seguito avevano seguito strade diverse, Hosam con il parlamento di Tripoli e Mustafa con le milizie di Bengasi. Il primo si era lanciato verso il futuro, l'altro aveva scelto il passato, conclude dentro di sé Khaled.

Partito Hosam, Khaled novello Ulisse joyciano, si lancia in una notte di furiosi giri nei luoghi che il trio frequentava, carichi di memorie divertenti e tristi o drammatiche. Quando arriva a St. James Square, davanti all'ambasciata libica dove nel 1984 lui e Mustafa avevano partecipato ad una manifestazione contro il regime - finita con una sparatoria proveniente dalle finestre della rappresentanza diplomatica che aveva causato numerosi feriti e l'uccisione di una giovane poliziotta inglese - sembra provare la sofferenza e la rabbia di allora. Anche lui e Mustafa erano stati colpiti abbastanza gravemente e dopo mesi di ospedale, Khaled era uscito con la sensazione che niente per lui sarebbe stato come prima: aveva da poco compiuto 18 anni. “...Se all'improvviso ti ritrovi a confrontarti con la morte...tutto ciò che sai e anche ciò che non sai, non è più lo stesso. Il mondo è un altro paese.” Sorvegliato dalla polizia per difenderlo dagli agenti occulti di Gheddafi, avviato l'iter per il riconoscimento dello status di rifugiato, non sa di chi fidarsi, vede ombre dappertutto e tutte le conversazioni con persone note e con sconosciuti sembrano avere qualcosa di nascosto e ambiguo.

Lui mente alla sua famiglia, per paura che venga coinvolta in qualche rappresaglia, anche se il padre, preside di un liceo e storico locale è un oppositore silente e prudente. Mente agli amici e anche alle donne con cui si relaziona, raccontando frottole quando, nell'intimità, si accorgevano delle vistose cicatrici all'altezza dei polmoni. Colleziona fallimenti nelle storie d'amore e sconfitte nei posti di lavoro. Anche con l'amico Mustafa non parlano più di quanto accaduto. Hosam gli rivelerà che anche lui era stato a quella fatidica manifestazione del 1984, scappando però in tempo, ma glielo rivela dieci anni dopo che si conoscevano e frequentavano. Un velo di sospetto pervade tutti i rapporti. Tuttavia la loro amicizia è tutto quanto resta, in mancanza dell'appartenenza perduta, della famiglia, di ciò che chiamavano casa.

Lo salva la letteratura, a cui si era interessato fin da ragazzino: nel 1980 aveva sentito alla radio la BBC - ascoltata a Bengasi clandestinamente da tutta la sua famiglia - il racconto di uno sconosciuto scrittore, Hosam Zowa (proprio quello che avrebbe più tardi conosciuto a Londra quando ormai non scriveva più) che parlava di un gatto che dalle fusa e leccatine iniziali passava a mangiare pezzi del corpo del suo padrone, allibito, incredulo, paralizzato. Solo quando arriva a mangiargli la testa l'uomo urla “No”, evidente e potente metafora della parabola di Gheddafi da eroe a dittatore.

Da quel momento il ragazzo aveva deciso che il suo avvenire sarebbe stato legato alla letteratura, motivo per il quale con una borsa di studio era approdato nella Gran Bretagna. Infatti, il testo è pieno di citazioni di autori anglosassoni o trapiantati esuli in Inghilterra provenienti dal resto del mondo. Perché se è vero che la letteratura, sottolinea l'autore, non può veramente salvare il mondo, può almeno contribuire a renderlo più libero. Il tempo passa per i tre amici e loro diventano ogni giorno meno arabi e un po' più anglo e si modificano “come accade ai muri di cui gradualmente le intemperie sbiadiscono il colore”. A poco a poco il trio, però, sembra sgretolarsi nelle differenze: l'apparente quieto vivere di Khaled, l'avvicinamento del sanguigno Mustafa alla comunità libica di Londra, in odore di resistenza, le fissazioni maniacali cui cede Hosam nell'andare a visitare i luoghi londinesi, teatro di violenze politiche. E sempre irrisolte le relazioni con donne, seppure amate, perché non riescono a stare dentro le relazioni per intero.L'affetto non basta più da solo a rinsaldare il legame fra i tre.

Il 17 febbraio 2011 scoppia la rivolta contro Gheddafi e il destino dei tre amici muta. Mustafa e Hosam corrono in Libia entusiasti. “ Presto sarai a casa”, diceva al telefono la madre di Khaled. Ma Bengasi era contemporaneamente il luogo in cui lui anelava di più andare e il luogo dove aveva più timore di tornare. Sente la paura di non avere la forza di costruirsi un'altra vita laggiù. Ma che cosa aveva costruito a Londra? Scapolo a 45 anni, senza figli, tuttavia sentiva che qualcosa lo legava a Londra. A 18 anni si era sentito perduto a non poter tornare più a casa e ora non vuole perdersi di nuovo, tornando: lui e la Libia erano entrambi cambiati. Il ritorno non era che un mito. Del resto la Libia delude ancora le aspettative di tutti, divisa tra il parlamento di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale e le milizie di Bengasi di Haftar, sprofondate, a tutt'oggi, entrambe in lotte di potere e corruzione.

Un testo denso di riflessioni, che va avanti e indietro nel tempo, dentro e fuori la Libia, dentro e fuori l'Inghilterra. Pervaso da una malinconia struggente per quello che avrebbe potuto essere e per quello che è effettivamente stato. Dolente nostalgia e solitudine sembrano essere le note salienti: come non mai, risaltano le ambivalenze dell'esiliato, indagate con minuzia e senza furori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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