Mohamed Mbougar Sarr - Puri uomini - recensione a cura di Giulia De Martino

Mohamed Mbougar Sarr

Puri uomini

edizioni e/o, 2024

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

 

Pubblicato nel 2018, tre anni prima della consacrazione dell'autore al Premio Goncourt con La più recondita memoria degli uomini, in Francia ha suscitato polemiche da parte delle comunità musulmane a causa di un argomento tabù per l'Islam (ma non solo): l'omosessualità. La conseguenza immediata è stato il divieto di pubblicazione e circolazione in Senegal, paese d'origine dello scrittore.

Come in un altro romanzo dell’autore, Terra violata, l'immagine di una esecuzione pubblica di una coppia, rea di aver avere avuto rapporti senza matrimonio nel nord del Mali ormai preda del radicalismo islamico, dà l'avvio alla trama, anche qui è un video trasmesso sul cellulare e visionato dal protagonista ad innescare una serie di riflessioni, dubbi, ricerche e trasformazioni nella persona di Ndéné Gueye, un giovane professore che insegna letteratura all'università di Dakar.

È la sua amica e amante Rama, una giovane libera e spregiudicata, a mostrarglielo, sollecitandolo ad esprimere la sua opinione. Si tratta di un filmato sconvolgente: degli uomini, incitati da una folla inferocita, stanno dissotterrando in un cimitero un cadavere che nudo viene offeso e dileggiato senza pietà: si tratta di un gòor-jigéen, un uomo-donna in wolof, che non è degno di essere seppellito in un camposanto dove riposano dei pii musulmani per un qualcosa che non è un peccato, ma il peccato per eccellenza. Sulle prime reagisce tiepidamente alle pur conturbanti immagini, redarguito dalla sua amica, dopotutto l'atto pur grave e colpevole è diretto contro un omosessuale, osserva il giovane professore che evidentemente condivide più o meno il sentire comune in Senegal (ma anche in tante parti dell'Africa) nei confronti di queste persone. Poi però qualcosa comincia a inquietarlo e lo spinge a visionare ossessivamente e voyeristicamente il video: quelle immagini di ferocia gli si conficcano nel cervello e non lo abbandonano più.

Conosce bene i suoi connazionali: non importa se il giovane disseppellito e buttato fuori dal cimitero sia effettivamente un gòor-jigéen, basta solo un sospetto, una diceria. E questo riguarda anche la famiglia, gli amici di chi è ritenuto tale, che si devono affrettare a cancellare qualsiasi disonore. Forse, pensa Ndéné, tra i disseppellitori ci sono anche i parenti, un padre, un fratello, uno zio, chissà...

Cominciano i dubbi, vuole saperne di più. Come mai quella stessa folla, assiste in deliquio alle mosse sensuali e francamente oscene, durante un sabar, una sfrenata festa tradizionale, di un celebre uomo-donna, Samba Awa, mattatore indiscusso e assai celebrato, a dire della folla? Contraddizioni su contraddizioni cominciano a sommarsi nella sua indagine per capire tutta la faccenda.

Un impulso irrazionale lo spinge a cercare la povera madre di quel ragazzo, a frequentare la sua casa, a deporre fiori sulla tomba che la donna ha fatto allestire nel suo piccolo giardino davanti casa. La conoscenza del dolore profondo di quella madre, pia non nel modo ipocrita e esteriore degli altri, ma capace di profonda pietà, gli spalanca un abisso. Suo padre, che potrebbe diventare il nuovo imam della moschea di quartiere, viene allontanato perché ha pubblicamente fatto un discorso per niente gradito: troppa pietà sentono nel suo discorso di condanna del peccato gravissimo del giovane, troppa comprensione nelle frasi che ricordano che sebbene colpevole, quel ragazzo appartiene alla stessa umanità di chi grida allo scandalo. Anche il padre e la madre adottiva di Ndéné sono costretti, per non essere coperti dal disonore, ad allinearsi. Anche i suoi colleghi d'università, i suoi studenti ritengono giusto l'atto sacrilego di dissotterrare e offendere un morto: tutti reagiscono allo stesso modo, confortati dal rigorismo musulmano tradizionale e da una recente radicalizzazione islamistica, dal conformismo sociale, dall'odio antioccidentale: dopotutto l'omosessualità è un prodotto d'importazione dei bianchi, di una società opulenta corrotta e decaduta, sostengono tutti.

Quando all'università si rende conto che una circolare governativa impedisce che si possa insegnare la poesia di Verlaine, perché un poeta omosessuale può corrompere le menti dei giovani studenti, scatta la molla che porta il giovane professore, già deluso da una realtà accademica corrotta e conformista, a sentirsi fuori di quella realtà, fino a venirne cacciato: perde il lavoro e un solo insegnante, l'enigmatico professor Coly (avrà un ruolo sul finire del romanzo) che spesso lo aveva agevolato con dei consigli, gli mostra comprensione, anche se gli raccomanda la dissimulazione e l'ipocrisia.

A quel punto la rivolta istintiva di Ndéné diventa una ricerca intellettuale per comprendere le ragioni di tanta ostinata e violenta omofobia, quando e come si sia originata una omosessualità accettata purché contenuta entro i confini del tradizionale sabar; viene aiutato dall'amica Rama, intelligente e colta che lo avvia alla conoscenza antropologica di questo argomento tramite un'altra donna, formatasi in Europa, attivista di diritti umani, in particolare dei lgbt. Tutti gli studi sul tema conducono ad una conclusione: in Africa la presenza della omosessualità affonda le radici in un tempo molto antico e in questo il continente non è dissimile dal resto del mondo.

Sicuramente le leggi e le condanne contro l'omosessualità sono più presenti nelle zone africane ex-inglesi in quanto la Gran Bretagna fino al 1967 prevedeva questo reato, ma anche la radicalizzazione islamica, attiva ormai in molti stati, ha avuto la sua parte. Aggiungiamo che anche le varie chiese cristiane in Africa hanno comportamenti ostili nei confronti della omosessualità. Ma il grido dolente di Ndéné non passa solo per la cultura e la storia: lui mette in discussione se stesso, la sua interiorità più profonda, la sua religiosità discutibile, le sue certezze sessuali di macho africano: i sospetti su di lui che la sua difesa degli omosessuali ha provocato se li assume fino all'estremo. “Diventerò un finocchio che potranno sia temere con repulsione viscerale che desiderare con una oscura pulsione omicida”. E li odierà quanto loro odieranno lui. “Sono un gòor-jigéen? sì...no...Importa poco, le voci hanno detto, deciso e decretato di sì. Quindi lo sarò. Devo esserlo... Tutti sono pronti a uccidere per essere apostoli del Bene. Io sono pronto a morire per essere l'unica figura ancora possibile del Male”.

Difendere questa libertà è difendere l'umanità dell'uomo, un miscuglio di slanci generosi e di oscuri impulsi. La violenza e l'amore sono parte del nostro essere uomini, bisogna guardarli in faccia senza ipocrisie.

La sua scrittura, a tratti nervosa e concitata, trasgressiva, mescola la narrazione con l'essai, con riflessioni pacate messe in bocca a personaggi nei dialoghi, raggiungendo effetti di un raffinato pamphlet, come avverrà anche nei romanzi successivi.

 

 

 

 

 

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