Ubax Cristina Ali Farah
Il comandante del fiume
Edizioni 66thand2nd, Roma 2014
Con Cristina Ali Farah, Amara Lakhous e Jorge Canifa, la nostra associazione ha avuto i primi contatti nel 1997 e ha potuto seguire con piacere il loro percorso e i loro successi sia sotto il profilo umano che professionale. Per loro, all'inizio, si è aperto spesso l'interrogativo sull'identificazione letteraria: italofoni, cosmopoliti o semplicemente scrittori e scrittrici.
La risposta riflessiva di Cristina comprende e supera queste definizioni: impossibile prescindere dalla propria origine, dalla propria identità femminile o maschile, da ciò che si è vissuto quando si scrive, perché si scrive di ciò che si vive sulla propria pelle; l'abilità narrativa sta nel riuscire a separarsi da ciò che si scrive, lasciando parlare i personaggi...
Ne “Il comandante del fiume”, dedicato al figlio, si conferma come nel suo primo romanzo “Madre piccola” che ha ricevuto numerosi premi e consensi di critica e pubblico, la grande capacità narrativa dell'autrice. Viene proprio dalla sua parte somala e lo accenna nel contesto del romanzo, la grande capacità di raccontare, di catturare l'attenzione dell'ascoltatore con la narrazione.
A guidarci nel racconto, strutturato sull'alternanza di flashback e situazione presente è la voce del giovane Yabar.
Un evento accidentale (la ferita a un'occhio e l'entrata al pronto soccorso dell'ospedale “Fatebenefratelli”) è l'occasione per il protagonista di fermarsi a rimuginare sulle proprie vicende familiari e amicali in un percorso non sempre piano e facile per un giovane ribelle quale è e si è sempre manifestato. Deve guarire l'occhio e deve guarire la ferita nel suo animo, forse le cose ora andranno di pari passo finalmente...
La madre, che lo ha cresciuto da sola, lo rimprovera spesso per il suo strano comportamento ma lo lascia anche libero di sbagliare e leccarsi le ferite per imparare a crescere, così, quando la combina proprio grossa -la seconda bocciatura a scuola – segue l' esempio dei suoi consanguinei e lo spedisce a Londra dai parenti somali; per alcuni potrebbe sembrare un premio, in realtà è un confino, è come dire: sparisci per un po' e impara a camminare con le tue gambe.
Accanto alla madre, l'amica zia Rosa di origine italo-somala, grande affabulatrice( “zia Rosa e mamma hanno stretto un'alleanza e ci hanno cresciuti a suon di storie e canzoni”) che ha una figlia, Sissi,di carnagione chiara come il padre italiano. Sissi cresciuta con Yabar, è una severa giudice dei suoi misfatti; intorno a loro una moltitudine variegata di amici, quelli del Flaminio, di Trastevere, i capoverdiani come Amilcare, il fedele compagno di collegio e Jessica, l'affascinante ragazza da cui Yabar si sente attratto. Ognuno dei suoi amici si porta dietro la sua storia particolare e qui risaltano alcune pagine dove si instaura pian piano un rapporto di solidarietà con loro, come nel caso del giovane Libaan lontano dalla madre rimasta in Somalia e abbandonato dal padre in collegio. Disseminati come punti di riferimento di un tracciato quotidiano, le vie, le statue, le piazze romane che attraversa: il chiosco della grattachecca vicino all'Isola Tiberina, il laboratorio teatrale nel quartiere di Trastevere, le passeggiate sotto i ponti, la statua di Trilussa con il bastone di ferro. Riferimenti rassicuranti e familiari per lui, ancor più che per i nativi romani, acquistano un senso magico e quotidiano al contempo, ma soprattutto accogliente, protettivo, materno.
Un discorso a parte è quello della famiglia somala degli zii a Londra con il loro modo di vivere dividendosi tra scrupoli religiosi e divertimenti sfrenati che disorienta e spaventa Yabar; proprio a Londra scopre l'agghiacciante verità frutto dei disastri della guerra civile in cui è stato implicato il padre militare; il ragazzo ricorda le guerre tra faide, sa che la madre aveva sposato un' uomo dell'opposta faida e scopre anche altri drammi familiari.
Tutto ciò è avvenuto prima del suo ricovero in ospedale, luogo di meditazione e isolamento per il ragazzo e qui ritorna ogni tanto nella sua mente, come uno strano leitmotiv, la favola del comandante del fiume.....una favola narrata da zia Rosa dove quell'uomo era in grado di dominare i coccodrilli che lo abitavano. ...chissà a chi associava Yabar quel comandante? Al padre? A qualcuno che veniva a liberarlo da tutte le angosce?
Come si placa il dolore allora? Forse solo nell'accettazione dell'amore, quello della madre, di zia Rosa, di Sissi con cui litiga spesso, degli amici che lo chiamano “fratello”, della città che lo vede crescere. E' il suo mondo, è lui il padrone del suo destino.
Si può conquistare la verità del proprio destino e della propria futura vocazione, non attraverso uno schema prestabilito ma mettendo insieme i pezzi di un complesso mosaico che è la propria esistenza, frantumata in tanti spostamenti e cambiamenti. Le vicissitudini storiche e sociali vissute dai suoi e da lui lo portano ad amare soprattutto la quotidianità, la verità delle piccole cose, di un amore condiviso “...desideravo restare tutta la vita con lei...fare le cose insieme ogni giorno, svegliarsi vicini ogni mattina”. Come chiave di lettura, la tenerezza che spegne la rabbia e analizza il bene e il male con lucida consapevolezza.