Ogni giorno è per il ladro di Teju Cole (a cura di Giulia De Martino)

Nigeria

Teju Cole
Ogni giorno è per il ladro

Einaudi,  2014
Traduzione di Gioia Guerzoni

Già dal titolo, l’inizio di un proverbio yoruba,siamo di fronte al bifrontismo di appartenenza culturale che percorre tutto il testo. Lui, lo scrittore, ormai newyorkese, colto e raffinato, storico dell’arte e fotografo, che ricorre ad una espressione tradizionale per riassumere il senso del libro…”Ogni giorno è per il ladro, ma uno è per il padrone” è un equivalente all’incirca di “chi la fa, l’aspetti”.
Ma acquista quasi un significato straziante nel testo: un intellettuale torna,dopo quindici anni,a Lagos ,da cui se ne era andato quasi in una fuga, con tutto il carico delle trasformazioni che sono avvenute in lui e nella Nigeria stessa. E’ uno yoruba che sente che non può più vivere a Lagos, dove è nato, perlomeno finché le cose non cambino e non gli sembra di vedere significativi mutamenti, solo accenni a cui si attacca disperatamente, perché comunque staccarsi definitivamente non è facile per niente.
Si tratta di un testo  scritto  prima di Città aperta (si può vedere la recensione di quest’ultimo sul nostro sito) edito già ad Abuja nel 2007 ,frutto della rielaborazione di un suo blog, pieno di notizie sul suo paese di origine, poi rimaneggiato per l’attuale edizione.
 A metà tra reportage e romanzo, condito di citazioni e ricordi di scrittori amati o stimati, di film, musiche, è corredato di 19 foto, da lui stesso scattate a Lagos,da cui si può intravedere, immaginare la città: si tratta di foto riprese, spesso in lontananza,da auto in corsa, da vetri, da recinti, da parabrezza intrisi di pioggia, di persone in atto di aspettare o fare qualcosa che il più delle volta stentiamo a capire. Infatti è proprio Lagos che è imprendibile alla comprensione dell’autore: quando credi di aver afferrato qualcosa ecco che qualcos’altro la disconferma oppure quando sei rassegnato all’idea di un paese che non cambierà mai ecco dei piccoli segnali che ti allargano il cuore ad un po’ di speranza.
Uno dei temi che percorre tutto il libro è la corruzione: l’autore la constata fin dall’ambasciata di Nigeria a New York, prosegue con l’aeroporto in cui sbarca, con tutti gli incroci di strade in cui vieni fermato da poliziotti, con i caselli autostradali, nei mercati, negli uffici, negli ospedali: ‘economia informale’, si dice, ma “un conto è quando ti raccontano, un altro è vederla dal vivo”. Si tratta di estorsioni esercitate da chi dovrebbe proteggerti dai soprusi e da poveri ed emarginati che cercano, spesso con la violenza della rabbia, di arraffare qualche briciola per sopravvivere.”Il denaro, sborsato in quantità adeguate al contesto, fa da lubrificante sociale…Ad ogni transazione, la somma giusta contribuisce a far funzionare le cose… Per molti nigeriani, dare e ricevere mance, mazzette, soldi sporchi o elemosina-le categorie sono fluide- non rientra nel campo della morale…E’ un modo per far funzionare le cose, niente più e niente meno di ciò a cui serve il denaro”.
Il tutto naturalmente perché poliziotti, militari, funzionari, impiegati, medici ed insegnanti sono pagati molto poco. Si ostacolano i sistemi che potrebbero sollevare le masse dalla povertà:” nulla funziona proprio perché tutti prendono una scorciatoia, e quindi l’unico modo per ottenere qualcosa è prendere un’altra scorciatoia.”
 Non c’è che dire: una logica lucida ed implacabile presiede alle riflessioni dell’autore. Le sue osservazioni le produce camminando, come il protagonista di Citta’ aperta a New York,  a piedi, in macchina o in danfo,lo sgangherato servizio di autobus che collega i diversi quartieri di questa megalopoli. Annusare la città, catapultarsi tra la gente in perenne frenetico movimento, toccare con mano le tensioni dei punti nevralgici della città nel tentativo perennemente frustrato di conoscerla è un modo, anche di conoscersi, di farsi delle domande su se stesso, su suo padre e soprattutto su sua madre.
Il non detto delle fotografie riguarda anche la sua sfera privata:il lettore non sa e forse neanche l’autore, cosa sia successo nel rapporto con sua madre, nulla viene esplicitato, il rimosso impera anche tra i parenti che pure lo accolgono con calore e affetto.
E questo ci conduce all’altro tema presente nel testo: appunto il ‘rimosso’ della storia, il non rapporto che i nigeriani sembrano intrattenere con il loro passato, la loro storia, soprattutto con il ruolo giocato dalle faide dei diversi gruppi tribali nel collaborare con i colonialisti alla tratta degli schiavi. Ma anche il loro recente passato è oggetto di disinteresse, così come i segni artistici, testimoni di una grande ricchezza culturale, svilita nel dimenticatoio dell’indifferenza.
L’interesse principale sono il petrolio e il gas, le banche e gli investimenti stranieri: se hai fortuna di lavorare in questi settori la tua fortuna è fatta. Certo il paese  ha una economia vivace,  non in ristagno, si spera che dall’arricchimento di pochi possa scaturire un indotto di benessere anche per gli altri: per ora si è prodotto solo un divario sociale così ampio da essere difficilmente colmabile.
Solo appropriandosi della propria storia e liberando gli stimoli creativi Teju Cole crede possibile un riscatto, che per ora viene affidato alla religione. In questo paese albergano gli estremismi di ogni confessione: dalle superstizioni dell’animismo all’esplosione dei guru cristiani delle chiese pentecostali,per finire alla criminalità degli islamici Boko Haram.Tutti elementi che contribuiscono a mantenere sotto scacco l’intera popolazione .
La delusione dell’autore è grande.”Eppure, eppure. Questo luogo esercita un fascino primitivo su di me… L a gente parla di continuo, facendo appello ad un senso di realtà che non è identico al mio. Trova soluzioni meravigliose per problemi complicati…” . L’autore vi trova una vivacità di storie narrate dalle persone, un quotidiano così ricco di miseria e nobiltà da far impallidire i poveri scrittori americani costretti tuttalpiù a confrontarsi con i divorzi , la crisi della coppia e della famiglia.
Ma non bastano milioni di storie non raccontate a trattenerlo laggiù :anni di sofferenza e disperazione hanno corroso i valori etici su cui si fonda la convivenza civile e consegnato le persone alla resa, all’impotenza, all’indifferenza sociale:non posso vivere più a Lagos, conclude amaramente l’autore.
Ancora una volta odi et amo.

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