Roberto Alajmo
Il piano inclinato
Sellerio, 2024
La domanda di Pinocchio al Delfino, premessa al romanzo, “ Mi farebbe il piacere di dirmi se in quest'isola vi sono dei paesi dove si possa mangiare senza essere mangiati?” ci avverte sul tipo di personaggio cui ci mette di fronte l'autore. Un ragazzo diciassettenne, ancora non del tutto adulto, ma prossimo alla maggiore età, un po' sprovveduto e incline a imbrogliare se stesso piuttosto che gli altri. Pronto all'avventura, anche se non sembra dotato di grandi qualità, incosciente quanto qualsiasi ragazzo della sua età. Un Pinocchio, insomma.
Ma lui è un migrante, di quelli salvati da un naufragio. Ancora?! Ne abbiamo lette di storie, narrate in prima persona da chi è partito e approdato sulle coste italiane, magari nella nuova lingua appresa, oppure affidate al racconto che ne fa uno scrittore o un giornalista. In questo testo incontriamo qualcosa di spiazzante: il romanzo è in terza persona, ma il narratore non sembra onnisciente, e noi sappiamo quello che mano a mano lo stesso protagonista vive e pensa nello stesso istante in cui accadono gli avvenimenti, quasi con una nostra partecipazione. Non è un racconto che fa leva sul pietismo, quanto piuttosto sulla capacità di sollevare dubbi sulla gestione dell'immigrazione.
Le prime pagine sono strabilianti: Ousma, il protagonista, si trova in mare, è prossimo ad annegare; la descrizione delle sue azioni nel tentativo di respirare , ingoiare acqua, risalire in superficie, i pensieri rivolti alla Madre, lasciata nel paesello in Mali ci sorprendono. Salvato dalla guardia costiera inizia la trafila: avvolto nel luccichio della dorata coperta isotermica - la conserverà poi gelosamente nel suo borsone che si era legato addosso - si avvia ad un pullman, poi ad un traghetto, per approdare ad un centro, da cui partirà per arrivare ad una casa di accoglienza per minori non accompagnati. Contento di essere vivo e di aver parlato con sua madre, Ousma affronta la routine della casa: sulle prime la monotonia dei giorni lo rassicura, dopo l'affollato centro iniziale, sporco, brutto e maleodorante, dove non vige la solidarietà tra gli ospiti, ma la tendenza alla rissa improvvisa, al rinchiudersi dentro i propri pregiudizi, per cui gli arabi se la prendono con gli africani subsahariani e viceversa. Alla casa per minori tutto gli sembra bello, il cibo, i volontari, le lezioni di italiano, la presenza delle ragazze, anche se si possono vedere solo andando a messa o in qualche occasione di festa. La sua testa è occupata però dalle disavventure passate: prima di stare quasi per morire in mare, ha rischiato la morte nel deserto e nelle prigioni libiche, in attesa di un imbarco. Storie che abbiamo sentito tante volte, tranne l'accomodamento che lui trova con il comandante della prigione: accettare di soddisfarlo con dei rapporti orali, che sanno di umiliazione e sottomissione. In seguito si chiederà se questo non abbia compromesso la sua virilità, tuttavia sa che deve a questo se è riuscito ad avere un po' di pane e acqua in più con cui sopravvivere.
E' partito più per fame di avventura che per fame vera e propria, anche se con la morte del padre la famiglia ha subito un rovescio economico notevole. Anzi, sono le misteriose ultime parole del padre “Apri la finestra” a convincerlo a partire. Spalancare la finestra, aprirsi al mondo, respirare un'altra aria, andarsene dal suo buco di paese .Anche se, ammetterà in seguito, quando le disillusioni sul suo avvenire cominceranno a farsi strada, forse la sua era stata una interpretazione azzardata.
Ousma è un ingenuo che non era mai stato neanche a Bamako, la capitale, vista solo nel viaggio per raggiungere i mezzi per attraversare il Teneré, il terribile deserto. Divertente la descrizione della sua incapacità di aggirarsi in una grande città dove tutti corrono, a piedi, in bici e motocicli, in macchina, in pullman e taxi. Non c'è posto neanche sui marciapiedi, ingombri di merci esposte e negozi strabocchevoli di gente. Un traffico che lo confonde e gli fa dubitare di proseguire oltre.
La sua inesperienza si rivela anche nel capire se la ragazza araba, che abita nella stessa struttura di accoglienza, su cui ha messo gli occhi, gli corrisponde o meno; non sa come interpretare i gesti, le occhiate, le parole di coloro che lavorano per i ragazzi. Con una collaboratrice, una trentenne gentile, intrattiene un rapporto più ravvicinato, non sa se ciò è dovuto alla mancanza della madre o se sia effettivamente attratto da lei. Sarà proprio un abbraccio di troppo alla donna, in un momento di felicità e abbandono (innocente?) a invertire la rotta dei pensieri e a cambiare i suoi atteggiamenti. Tenterà invano di riparlare con lei per scusarsi e riprendere i rapporti precedenti, senza riuscirci. Si isola e parla solo con il suo compagno di stanza Walid, che comunque più che esprimersi, emette grugniti ed è sempre di cattivo umore. Purtroppo si avvicina il momento fatale: il compimento della maggiore età che sbatterà i due fuori dal nido protetto della casa per minori per gettarli nell'agone esterno, in attesa della fantomatica Commissione che deciderà del loro destino. Anche la comprensione del direttore gli comincia a sembrare ipocrita. Dentro era un minore da proteggere, fuori è un migrante che se la deve sbrigare da solo. Walid, a mezza bocca, gli fa capire che ci sono altre persone della loro stessa religione pronti ad accoglierli e gli passa degli opuscoli, che all'inizio Ousma quasi non legge. Lui non è mai stato particolarmente praticante, ma trovandosi a subire lo sfruttamento nel lavoro e i pregiudizi della gente - quando non è razzismo vero e proprio - il suo furore cresce, la sua rabbia dilaga. Forse Walid ha ragione quando dice “gli occidentali si credono tutti superiori e vogliono farci fuori con le loro fandonie diaboliche”. Il testo si avvia verso un finale crudele quanto inaspettato.
Un romanzo brusco, che non fa sconti a nessuno, né alla filiera dell'accoglienza, mostrandone la burocratizzazione né agli imprenditori della radicalizzazione e del terrorismo. Anche Palermo, da tutti considerata città multietnica e multiculturale rivela un volto meschino, preoccupata solo di conservare l'etichetta e non la sostanza di città ospitale e lontana da ogni sospetto di xenofobia e razzismo. Ousma non è né buono né cattivo e non diventa un eroe come il ragazzo di Io capitano: resta un Pinocchio che non ha incontrato nessuna fatina ad aiutarlo a crescere.