Tezeta Abraham - Nostalgia - recensione a cura di Giulia De Martino

Tezeta Abraham

Nostalgia

Harper Collins, 2024

 

Continua il nostro interesse per le scrittrici afrodiscendenti che dimostrano determinazione e coraggio nello scrivere le loro storie: non per essere compatite o osannate, ma come atto di riscatto in un paese come l'Italia che non le ha certo aiutate nel percorso che hanno dovuto compiere come aspiranti italiane o come donne che portano impresse sulla loro pelle una diversità. Se poi all'attivismo sociale e politico uniscono uno stile letterario tra accattivante e introspettivo ci regalano dei memoir piacevoli e significativi da leggere.

Il titolo rimanda al significato del nome Tezeta in amarico: nostalgia, ricordo. "Ma ricordo di che?" chiede insistentemente la protagonista bambina alla madre, visto che è stata portata in Italia a 5 anni e ha solo dei ricordi vaghi e confusi e non capisce come mai si trovi a vivere solo con la mamma, senza padre, zii, nonni e cugini. La mamma per tutta la vita mostra una grande reticenza a parlare di questo e solo da adulta, e ormai madre a sua volta, Tezeta apprenderà la verità.

Nel 1990 i migranti, studenti e in gran parte donne che avrebbero lavorato nel settore domestico, arrivavano in aereo, soprattutto se provenivano dalle ex-colonie italiane, fenomeno che riguardava quasi tutti i paesi europei ex-colonizzatori. Non c'erano barconi o rotte balcaniche, questo non vuol dire che fosse tutto semplice, ma le cose si sono molto complicate con le leggi Turco-Napolitano del 1998 e Bossi-Fini del 2002.

Quindi la madre Tegest e la figlia Tezeta arrivano e comincia il percorso faticoso di sopravvivere e cercare di avere il prima possibile un permesso di soggiorno; la bambina viene messa in un collegio di suore cattoliche nel quartiere Monti e la madre si affanna con lavori saltuari di pulizia, abitando dapprima all'Hotel Giotto, un albergo vicino alla Pineta Sacchetti, in disuso e occupato da somali e poi in mini appartamenti privi di comfort, cambiati in continuazione fino all'alloggio più duraturo nel quartiere Alessandrino.

Nove anni Tezeta resterà in quel collegio, che l'autrice individua come carcere, non per la costruzione che si rivela per lei comunque migliore della casa di Dire Dawa, in cui era cresciuta per pochi anni affidata alla zia Aster, dopo che la mamma era partita per trovare un lavoro decente in Italia. È definito carcere per la routine ossessiva e ripetitiva di giorni sempre uguali, preghiera, scuola esterna, refettorio, un po' di svago in cortile, pulizie delle camere e della cucina, comminate come punizioni alle collegiali: Tezeta ne riceve talmente tanti di castighi da diventare personale stabile della ripulitura. Eppure nel collegio stabilisce rapporti con ragazze che dureranno nel tempo, godendo anche di risate e divertimenti derivanti dalla vita in comune. Vede la mamma solo il sabato pomeriggio e la domenica, ma la deve dividere con la frequentazione della chiesa valdese e le amiche etiopi della madre, tutte ossessivamente religiose; il risultato è che non vede l'ora di rientrare in collegio, perché si sente lontana da quel tipo rigido di religiosità, puritano e per niente gioioso. Peggio poi quando arrivavano i pastori americani con le manie di visioni, guarigioni miracolose, la malattia confusa con il peccato...

Ma dal testo emerge un rapporto conflittuale con la madre che diventa sempre peggiore man mano che Tezeta cresce: la madre cerca di non farle mancare il necessario, ma non capisce le richieste della figlia su giocattoli, vestiti, scarpe o zainetti alla moda. O quando le pone domande sul padre di cui Tezeta non sa nulla. Per un nonnulla la madre la picchia, anche violentemente o le si oppone verbalmente in modo aggressivo. Solo in seguito, quando avrà chiari tutti i tasselli del passato, la figlia capirà i comportamenti della madre: la fuga da un marito violento e manesco, con cui non vorrà avere più niente a che fare. Tegest, sposata quasi bambina, non ha ricevuto amore né dal patrigno con cui sua madre si era risposata né da suo marito: chi non riceve amore non è in grado di darlo, conclude Tezeta. Anche se, a modo suo, la mamma la protegge e la vuole vedere contenta: ma ci vorranno anni prima che lei abbia una festa di compleanno e un regalo...la giovane impara a convivere con questa madre strana e apparentemente anaffettiva, trovando momenti di complicità e anche buonumore. Sarà lei ad insegnare a sua madre cosa vuol dire abbracciare qualcuno e fare un gesto affettuoso.

Certo la sua vita passerà anche attraverso il terribile binomio bulimia-anoressia (complice anche la frequentazione delle magrissime modelle) di cui si libererà tardi attraverso la psicanalisi.

Ma insomma lei chi è? si domanda l'autrice quando con la madre sarà tornata dal viaggio in Etiopia, dopo tanti anni di assenza, per una vacanza presso i suoi parenti. Parla con un marcato accento romano, a cui ricorre spesso accentuandolo nelle situazioni in cui se la deve sbrigare come straniera: il dialetto sembra diminuire la distanza dalla sua pelle che la qualifica irrimediabilmente come non autoctona. Ma in che senso è valida la sua appartenenza etiope? Lo scoprirà nei viaggi frequenti verso la terra d'origine fatti apparentemente più da turista che da amhar. Ma l'Etiopia le entrerà nel cuore, come un germoglio che a poco a poco crescerà dentro di lei e che coltiverà per sempre.

A 16 anni la sua vita ha una svolta. Abituata ad arrangiarsi e a non pesare sulla mamma, per avere soldi in tasca lavora dapprima facendo le pulizie delle scale, in sostituzione della madre, poi in una gelateria (lei sa che Tegest lavora da quando aveva 5 anni) un giorno presso il negozio di una parrucchiera africana, una signora insiste per farla partecipare a Miss Africa Italy. E' diventata una bella ragazza Tezeta e vince: dalla partecipazione al successivo Miss Italia ne discende un percorso da indossatrice, modella per foto pubblicitarie e spot, e in ultimo da attrice. Si rende autonoma dalla madre, viaggia, abita da sola ma è sempre tormentata da problemi burocratici circa il suo soggiorno.

Fin da quando era piccola era lei a sbrigare le questioni di moduli, documenti alla questura, perché la madre leggeva a stento le lettere latine, dato che la lingua etiope ha un altro codice grafico, poi non riusciva a capire le leggi e le disposizioni: sbagliava talmente che sul primo permesso di soggiorno il nome di Tezeta Abraham risultava essere di suo marito...

L'autrice viaggia all'estero a suo rischio e pericolo perché non sempre è provvista di visto. L'idea di riallacciare i rapporti con suo padre ha anche uno sfondo utilitaristico: suo padre è negli Stati Uniti con la sua nuova famiglia, ha vinto una greencard, ma non ha superato il colloquio: resta in America come clandestino, tuttavia può servire da trampolino di lancio per Tezeta. Ma sarà un insuccesso totale l'incontro con suo padre. Dal testo emergono forti critiche al mondo della moda, delle agenzie pubblicitarie e di intrattenimento: viene ingannata a molti livelli e riceve un'impronta negativa sui rapporti con gli uomini. Del resto l'educazione di sua madre l'ha resa diffidente e lontana dal mondo maschile. Il successo arriva però con il cinema e soprattutto la televisione. Per ultimo il suo approdo alla scrittura.

In molte interviste dichiara che lei è diventata attivista dei diritti dei giovani nati o cresciuti in Italia non tanto per principio quanto per necessità: le storture e i cavilli dello ius sanguinis sono un insulto ad una autentica integrazione. Lei, arrivata in Italia a 5 anni e con un percorso scolastico tutto italiano ha impiegato 19 anni per ottenere la cittadinanza.

Il matrimonio con un uomo femminista e la nascita di un figlio le hanno fatto scoprire quanto lei avesse introiettato la cultura patriarcale attraverso l'educazione di sua madre, delle suore, dell'ambiente del fashion, dove le ragazze dipendono dall'occhio maschile. La famiglia del marito con la sua affettuosità le ha fatto capire come e quanto le sia mancato un ambiente famigliare e quanto desideri rifrequentare tutti i suoi parenti per darle una compiutezza di cui è stata privata la sua vita. Italiana sì, ma anche la sua identità africana infine riesce ad armonizzarsi con quella adottiva, superando contraddizioni e ostacoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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